domenica 12 febbraio 2012

Il mito dell'Arcobaleno

Qualche mese fa mio figlio mi chiese di aiutarlo con un compito scolastico.
Doveva scrivere un breve racconto per spiegare un mito.
Insieme abbiamo scelto il "mito dell'Arcobaleno".
Stimolato dall'argomento, mi sono messo anch'io a scrivere e quello che ne è uscito è riportato di seguito...


Ci fu un tempo in cui gli uomini vivevano felici nelle Terre di Colorandia.
Erano dei territori bellissimi, che proliferavano in pace ed armonia grazie alla amicizia ed alla collaborazione dei Setti Regni che in essi dimoravano.
Ognuno di essi condivideva con gli altri tutto ciò che produceva, contribuendo così a creare un meraviglioso mondo variopinto.
Il regno Rosso animava i campi di grano punteggiandoli con miriadi di papaveri, quello Arancio distribuiva frutti dolciastri e asprigni che deliziavano il palato, il Giallo produceva un nettare di cui tutti erano ghiotti, il Verde tingeva i fili d’erba in tante gradazioni diverse, il Blu rendeva splendidi i corsi d’acqua in cui guizzavano i pesci, l’Indaco colorava gli occhi delle fanciulle più belle e infine il Viola donava dei fiori dalla tonalità così accesa da mozzare il fiato.
E ciascuna macchia di colore era esaltata dalla luce solare o lunare di cui i Regni erano irradiati.
Ma in quelle terre viveva anche un uomo, la cui origine era avvolta nel mistero, che non si sentiva a casa propria in nessuno dei sette regni. Anzi, quell’uomo invidiava e detestava la gioiosa serenità di cui gli altri erano animati.
Quell’uomo divenne un potente mago.
Quell’uomo fu chiamato Nero.
Fu così che un giorno, dopo anni trascorsi ad approfondire la sua magia oscura, Nero si recò sul Picco delle Tenebre ed evocò un terribile incantesimo.
Sulle Terre di Colorandia conversero migliaia di nubi nere come la pece, che nascosero completamente gli astri celesti, portando nei setti regni il buio ed il freddo, che contaminarono sia i corpi che i cuori dei loro abitanti.
La bellezza e l’armonia di quelle terre rischiava di sciogliersi come neve al sole.
D’urgenza si riunirono i sette saggi per trovare una soluzione.
Solo loro conoscevano un segreto che si tramandavano di generazione in generazione.
Nero in realtà aveva un gemello.
Era anch’egli un mago potentissimo, ma dedito a compiere del bene.
E per paura che qualcuno potesse abusare dei suoi poteri, se ne stava rintanato nella Torre del Ghiaccio Eterno, nel nord del regno.
Il suo nome era Bianco.
I saggi, con grande fatica, ed evitando di farsi scoprire, raggiunsero Bianco e chiesero il suo aiuto per salvare i loro regni.
Egli donò loro la Goccia della Luce, una rarissima lacrima dell’universo primordiale e spiegò come procedere.
Un giorno, all’alba, i sette saggi si riunirono segretamente nella Radura dell’Iride, posero la Goccia della Luce in cima ad un bastone d’ebano e avorio conficcato al centro, si strinsero le mani e iniziarono a roteare intorno ad esso, recitando le formule magiche che Bianco aveva loro insegnato.
Ebbe così inizio il Rito del Ponte di Luce.
A poco a poco, dalla Goccia della Luce cominciò a sprigionarsi un fascio di luce sempre più potente, alimentato anche dai colori che ognuno dei saggi donava, come segno di unione e patto di collaborazione per sconfiggere il male incombente.
La luce divenne sempre più sfavillante, costruendo un lunghissimo e meraviglioso ponte di sette splendidi colori, che scavalcò la nerissima coltre nel cielo e andò a richiamare la potenza del Sole.
In poco tempo le nubi furono disperse e la sfavillante luce solare irruppe nuovamente sui sette regni, riportando la gioia e la serenità.
Nacque così quello che in seguito venne da tutti chiamato "Arcobaleno".

venerdì 6 gennaio 2012

Una lettera


E' sempre difficile mettersi davanti ad un foglio bianco...
Si ha quasi l'impressione di essere un esploratore spaesato, che si trova circondato da distese di ghiaccio, senza punti di riferimento, col freddo che gela anche l'anima.
E poi senti qualcosa... un tremolio, una scossa, un impulso improvviso che si irradia da dentro e che fa muovere le mani... ed ecco che il grande prato innevato incomincia ad animarsi... nella scena entrano un paio di scoiattoli, e poi un leprotto, e subito dietro alcuni cani che si inseguono... poi irrompono i bambini, che si rincorrono... e via... ora l'algida staticità del paesaggio iniziale lascia il posto ad un carosello di nere impronte, ognuna con una propria forma e profondità, ognuna parte di un tutto il cui fine ultimo si scioglierà solo alla fine.
E il bianco ed il nero si mescolano sempre più, in un'armoniosa rappresentazione di forme antitetiche, ma coesistenti.
Il bianco ed il nero... spesso sinonimi di bene e male, di positività abbacinante o deprimente negatività.
Scrivere una lettera diviene quindi un confronto tra queste due entità, un'altra rappresentazione dell'eterna lotta fra forze diametralmente opposte.
Ma nell'atto della scrittura il bene ed il male non sono così marcati, sono più sfumati, si nascondono, si mimetizzano... come se un incantesimo celasse la vera natura dietro le forme sinuose o altere delle parole che vogliono rappresentare.
Scrivere una lettera equivale a mettere in scena una commedia, o una tragedia, con centinaia di attori protagonisti, verbi, nomi e aggettivi, ed un corollario altrettanto numeroso di pronomi, articoli e preposizioni che interpretano oscuri ruoli di comparse.
E l'esito della rappresentazione dipende solamente dal pubblico... è lo stato d'animo di chi legge, di chi segue lo spettacolo dal primo atto all'epilogo che determina il giudizio finale.
Puoi cercare la scintilla che ti faccia ardere come ceppo maturo e scoprire invece parole "troppo gelate per sciogliersi al sole".
Ma si può anche avere la gioia di trovare immense praterie dello spirito, dove le parole sono maestosi destrieri che possono innalzarci fino a raggiungere vette impensate...
Difficilmente una lettera lascia indifferenti... bianco e nero, bene e male, amore e odio... per quanto siano uniformemente distribuiti, alla fine daranno comunque una precisa polarità, positiva o negativa, a quelle orme nere come pece che hanno violato l'immacolata serenità del bianco foglio che ora le contiene.
Scrivere una lettera è donare un pezzetto di sé a qualcun altro... è offrire una piccola parte della propria vita, che comunque scorre, veloce come le mani che sembrano comporre musica sulla tastiera di un computer o come una penna che volteggia leggiadra come un provetto pattinatore.
Scrivere una lettera a qualcuno è un segno di affetto...
Una lettera è un dono immenso... ha un valore che non ha paragoni...
In una lettera c'è il cuore, l'anima di chi la compone... c'è la volontà di dire "ho sottratto alla vita minuti preziosi e l'ho fatto per te..."

domenica 1 gennaio 2012

Anno che viene, anno che va

Scosto la tenda e guardo il cielo
grigio e uniforme tendere un telo
come un sudario sul vecchio anno
deposto in nome d'un nuovo tiranno.
A chi dolore, a chi gioia ha dato
tra poche ore ormai sarà andato;
per un rimpianto più tempo non c'è
la vita prosegue coi suoi fanti e i suoi re.
Verso la fine con passo lieve
l'accompagnano mille fiocchi di neve,
candidi petali donati a chi
vede sfiorire l'ultimo dì.
Ma il nuovo che avanza è spesso un miraggio
che sfuma al primo sole di maggio;
solo una cosa per certa sarà,
la somma di uno alla voce "età".