sabato 20 agosto 2011

Il Sognatore

Ammiro i sognatori. 
Mi piacciono le persone che non si fanno ingabbiare dalle logiche pragmatiche del vivere quotidiano, ma che hanno il coraggio e la voglia di abbandonarsi al sogno ed alla fantasia.
E' un potere enorme, che ognuno di noi possiede, ma che spesso lascia atrofizzare con la crescita.
Come se solo ai bambini fosse concesso il privilegio di spaziare con la fantasia e proiettarsi in mondi differenti dove tutto è irrealmente possibile.
Non è vero... non è vero che crescere, maturare, significhi prendere possesso del mondo reale e abbandonare completamente la possibilità di camminare sui sentieri onirici del fantastico.
Perchè negarci questa possibilità?
Perchè, seduti su una panchina in riva ad un lago non si possa osservare quello che ci circonda con gli occhi della mente? Perchè fissando un punto all'orizzonte ed ascoltando solo il vento non si possa immaginare di aprire una porta verso un ignoto altrove, in cui poter essere quello che si desidera, dove si possa amare e apprezzare ciò che i sentimenti indicano e non regole imposte da una società in via di disgregazione?
Perchè dobbiamo sentirci stupidi quando pensiamo di far implodere una realtà che non ci piace per spostarci  invece in uno spazio ed un tempo indefiniti, dove però possiamo sentirci noi stessi, dove l'essenza ci guida e ci conduce e non le forme ed i percorsi che altri hanno definito come recinti insormontabili?
E' così strano pensare di scorporarci per passare da un mondo che ci vede semplici pedine ad un altro che nasce proprio per noi e con noi, che non ci considera solo come attori di un copione che altri hanno scritto, ma in cui siamo anche produttori e registi?
E' forse socialmente scorretto immaginarsi in un luogo idilliaco, mano nella mano con una persona che magari abbiamo semplicemente incrociato per strada, in un bar, su un treno e che per qualche ragione (un sorriso, uno sguardo, il modo di fare,...) ci ha colpiti?
Sognare e fantasticare non è forse l'espressione del desiderio insito in ognuno di noi di poter vivere più vite?
Chi ce lo può impedire, se non noi stessi...
Non possiamo sfuggire alla realtà dei bisogni primari quotidiani, non possiamo dimenticare che se siamo su questa terra, in un preciso contesto storico e sociale, è perchè ci viene data comunque una opportunità, di esserci e di affermare la nostra presenza, nel bene e nel male.
Ma allo stesso modo nessuno ci può impedire di utilizzare la tavolozza ed i colori che portiamo con noi dall'infanzia per sbizzarrirci a dipingere mondi paralleli e fantastici dove tutto è concesso e l'unico limite è dato solo dall'ampiezza della portata dei nostri desideri.
Colui che sa sognare non è un pazzo, non è un alienato, non è un fesso... è solo una persona che ha capito che per attingere al pozzo della felicità a volte basta chiudere un attimo gli occhi, lasciarsi andare ad un sorriso, per sentire il gorgoglio dell'acqua, tendere una mano verso il secchio da calare e bere liberamente, senza paura di soffocare...

domenica 31 luglio 2011

Il Cammino delle Parole

Ci fu un tempo in cui le parole fluivano come insetti laboriosi, ognuna portando con sè un carico prezioso, un significato pregnante.
C'erano gruppi che trasportavano fischiettando grandi sacchi di allegria, altri invece che trascinavano con leggiadria pacchi magnificamente infiocchettati, dai mille colori sgargianti, doni bellissimi da offrire con gioia e serenità.
Altri ancora portavano orci di miele, grandi mazzi di fiori, gioielli e pietre preziose.
Infine molti si accontentavano di avere come bagaglio un semplice ed onesto sorriso.

Le parole viaggiavano con i mezzi più disparati, da quelli canonici, di lunga tradizione, a quelli legati alla recente e più moderna tecnologia. Ma il mezzo non è mai stato importante per loro... il vero valore del loro peregrinare era insito in ciò che si erano prefisse di portare con sè.
Giungevano a frotte, oppure in gruppetti sparuti, a volte anche sole... eppure erano fiere e felici di ciò che avevano da offrire ad altri.

Il loro cammino culminava nella vallata di Emotiown, agli abitanti della quale donavano ciò che avevano trasportato con tanta cura e tanto sforzo.
Era una vallata bellissima, ricca di vegetazione lussureggiante, con una fauna vitale e giocosa e dal clima paradisiaco. E ciò che le parole portavano con sè contribuiva a rendere armoniosa e assai piacevole la vita nella valle e nei territori ad essa limitrofi.

Ma un giorno le cose cambiarono.
Alcune parole spensierate arrivarono sul posto e trovarono la vallata profondamente mutata.
Il verde smeraldino della vegetazione stava cedendo il passo all'ocra riarsa.
Gli animali erano diventati diffidenti e silenziosi.
L'operosità e il dinamismo degli abitanti erano scomparse.
Un vento secco e graffiante impolverava ogni cosa, stendendo un sudario di sabbia a nascondere le meraviglie di ciò che fu.
Si intuiva che anche in quel luogo la cupidigia, l'egoismo, la superbia, l'accidia avevano infine avuto la meglio.

Ora le parole avanzavano a tentoni e posavano in fretta il loro carico, consapevoli che non ci sarebbe stato più alcuno che avrebbe apprezzato il frutto del loro viaggio.
Giungevano stanche e spossate e spesso non avevano l'energia per ritornare... finendo per rimanere per sempre lì, insabbiate e svuotate di ogni significato.
Un giorno, una parola più audace delle altre, abbattè l'ormai cigolante cartello di ingresso di Emotiown e lo sostituì con una grezza incisione su una quercia rinsecchita: Aridity.

Pian piano nessuna parola osò più intraprendere il viaggio verso quel luogo che ormai era divenuto solo terra bruciata, sterpaglie e desolazione.
Solo una parola, ardita e temeraria, forse anche un po' tocca, o forse semplicemente testarda nel credere nei suoi ideali, continuò a compiere il viaggio, con l'indomita convinzione di poter ritrovare un segno di vita in quella vallata un tempo splendida.
Ogni volta portava con sè dei semi nuovi, piccoli germogli, coppie di animali, augurandosi di poter rianimare ciò che faceva fatica a considerare definitivamente morto.
Quella parola si chiamava "Amore"... e si dice che abbia sempre costantemente ripercorso quel cammino doloroso, tenacemente attaccata ad un'idea, ad un sogno, ad una speranza...

Nessuno sa se quella vallata sia mai rifiorita, ma c'è chi, trovatosi accidentalmente nei paraggi, giura di aver udito alcuni flebili cinguettii ed una brezza più dolce, che portava con se il profumo dei limoni....

sabato 30 luglio 2011

Limiti

La Pancol è veramente grande nel formulare pensieri e riflessioni che potrebbero sembrare banali, ma che in fondo sono proprio la quintessenza della vita di tutti i giorni.
Cito questo estratto che ho trovato significativo:

"... comprese, folgorata da un sentimento di felicità, che non decideva più niente, che aveva varcato i limiti che si era promessa di non varcare mai. Si disse che c'è un momento in cui occorre comprendere che i limiti non tengono gli altri a distanza, non ti proteggono dai problemi, dalle tentazioni, non fanno altro che rinchiuderti, che tagliarti fuori dalla vita. Allora, o decidi di lasciarti inaridire e di restare entro i limiti, o ti farcisci di mille piaceri infrangendo quegli stessi limiti..."

domenica 26 giugno 2011

Pianti di donne

Quello che segue è un passo liberamente tratto da un romanzo di K.Pancol che denuda i grovigli assai intricati del pensiero femminile. Ovviamente sono considerazioni che hanno origine da una protagonista femminile...

"Dove sono finiti gli uomini?
Non ci sono più uomini... non ci si può più innamorare...
O sono belli, virili e infedeli... e poi noi piangiamo!
O sono vanesi, boriosi e impotenti... e poi noi piangiamo!
Oppure sono cretini, appiccicosi e deboli... e noi li facciamo piangere!
E infine, piangiamo all'idea di restare sole a piangere..."

Ogni commento mi pare superfluo...

Dove stai andando...

Proverbio africano

"Quando non sai dove stai andando, fermati, e guarda da dove vieni."

domenica 22 maggio 2011

Televendite

Sto assistendo con sgomento alle elezioni amministrative di questo mese.
In particolare ci sono un paio di questioni che mi lasciano veramente ammutolito.
E' palese che la prima tornata ha evidenziato come la coalizione della maggioranza abbia subito una significativa debacle. Certo, nulla è concluso fino all'ultima scheda consegnata nei ballottaggi, però mi sembra evidente che un solco è stato tracciato.
Ebbene, cosa fanno i perdenti (o potenziali tali)?
Non stanno a chiedersi che probabilmente la loro "politica" (forse meglio chiamarlo potere lottizzante e dominante) ha segnato il passo e non ha prodotto nulla di positivo per coloro che rappresentano (i cittadini).
No, semplicemente escono allo scoperto con la strategia che meglio sanno applicare: il marketing.
Gli elettori sono un branco di c...i (ognuno riempia i puntini come meglio crede) a cui è sufficiente proporre ricchi premi e cotillons o buoni sconto inverosimili per fare in modo che capiscano che cosa è meglio.
Non si tratta di proporre dei piani programmatici per far comprendere che e come hanno intenzione di amministrare la "cosa pubblica", troppo complesso... la gente non capisce...
Si arriva a proporre il "se mi voti non ti faccio pagare xxx" o "se mi voti ti concedo di poter usufruire di yyy".
Si sono veramente rivelati (oddio, non che prima non lo si intuisse...) degli imbonitori, degli uomini mercato a cui non interessa che il prodotto venduto sia cancerogeno, ma per cui è importante solo che il prodotto sia considerato assolutamente appetibile e quindi comprato.
E' puro marketing... dal loro punto di vista non fa una piega.
A questo punto però il bandolo della matassa è in mano agli elettori/acquirenti. Se hanno un barlume di intelligenza e buon senso (ce ne vuole davvero poco...) per comprendere cosa li aspetta accettando le "allettanti proposte di vendita", allora lasceranno il prodotto invenduto. Altrimenti, si meriteranno di soccombere per la scelta che hanno effettuato.
Se poi uno stato che si dichiara "democratico", permette che un solo venditore possa effettuare a reti unificate la propaganda dei propri prodotti, denigrando quelli dei competitors, beh, allora ci ritroviamo ad essere in un grande supermercato ricco di luci e colori, con ballerine e saltimbanchi tra gli scaffali, ma in cui non viene concesso di scegliere alcunchè.

sabato 7 maggio 2011

Il Risveglio

Era una notte nera come la pece.
Beatriz, la badessa della cattedrale di Hiruyn, era profondamente addormentata.
Era passato parecchio tempo da quando la giovane principessa riottosa aveva assunto la mansione di bibliotecaria, per poi assurgere al ruolo di badessa.
Dopo aver invocato le forze del male per trasformare il suo grande amico Dulkor in un simulacro di pietra, un sogno ricorrente la aveva sempre tormentata.
Qualcuno (o qualcosa) la spingeva in un pozzo, le cui pareti si stringevano ad imbuto.
Mentre cadeva a capofitto in un tunnel sempre più scuro, percepiva il perimetro intorno a lei rimpicciolirsi sempre più, come se fosse trascinata a picco in un gorgo di pietra.
E quando ormai era prossima ad essere fagocitata scorgeva sul fondo una luce improvvisa ed accecante, e a quel punto si svegliava sempre ansimante e scossa da tremiti.
Anche quella notte accadde e puntualmente la badessa si svegliò di soprassalto, con il respiro affannato e gli occhi sbarrati, con un solo pensiero in mente: "... quando finirà?...".
Tuttavia questa volta intuì qualcosa di strano.
La luce era ancora impressa sulle sue retine, come se fosse effettivamente presente nella stanza.
Si strofinò gli occhi più volte, ma senza cambiamento alcuno.
Fu allora che si accorse che quella intensa luce bianca proveniva dal davanzale della finestra posta di fronte al suo letto.
La curiosità prevalse sul timore, per cui si alzò e si avvicinò con cautela alla fonte di tale algido baluginio.
"Cosa potrà mai essere?" pensò Beatriz mentre avanzava lentamente.
Giunta a pochi passi potè constatare che tale oggetto luminoso era una bellissima perla di grandi dimensioni.
"E' splendida!" pensò.
"Non ho mai visto una perla così grande, così perfetta... e così brillante".
In effetti la sua luminosità era straordinaria, perchè non era irradiata da un fonte esterna, in quanto la nottata era priva di luna. Sembrava dunque provenire dall'interno.
La badessa la contemplò per un po', chiedendosi anche come e perchè fosse stata posta nella sua stanza.
E da chi...
A questo pensiero, subito allertò i sensi e si guardò attorno circospetta, cercando di individuare una presenza estranea nella stanza.
Si diresse verso la porta, ma la trovò chiusa, come la aveva lasciata la sera prima.
Tornò alla finestra e, cercando di non toccare la perla, si sporse nel tentativo di scorgere qualche segno di una visita esterna, ma anche qui senza alcun esito.
Ritornò a guardare la perla, intimorita, ma al tempo stesso affascinata.
Sembrava che quella sfera luminosa la invitasse ardentemente a prenderla.
Alla fine Beatriz lasciò da parte ogni timore e la raccolse.
"Mio Dio... è...è... incredibile..." esclamò.
Improvvisamente la perla arse come una supernova, irradiando nella badessa una scarica di energia impressionante.
Beatriz fu letteralmente avvolta dalla luce ed invasa da una pressante sensazione di reminiscenza.
Un turbinio di immagini in progressione temporale inversa affollarono i suoi pensieri.
In pochi attimi la sua vita scorse all'indietro e lei ne potè essere simultanemente attrice e spettatrice, con un coinvolgimento attivo sia dei sensi che dei sentimenti.
Tutto si srotolò fino al giorno in cui lei era una vivace tredicenne che giocava beatamente con un rarissimo esemplare di drago blu. Era il tramonto di un tiepido pomeriggio di primavera, e per la ragazzina era l'ora di rientrare, per prepararsi alla cena.
Era stata una gran bella giornata e lei era sempre più affezionata a Dulkor.
Prima di lasciarlo, gli indicò di abbassare il collo e lo strinse forte forte.
"Sei il mio amico più grande, più fedele e fidato. E ti voglio un gran bene. Ti prometto che staremo sempre insieme, qualunque cosa accada. Nessuno potrà separarci."
Gli diede un grosso bacio sul nasone e si avviò verso casa. Dulkor si alzò in volo e fece un passaggio radente, quasi a sfiorarle i capelli con la punta delle ali. Entrambi, ognuno a modo suo, risero felici.
Beatriz sembrava in uno stato catatonico, ma questo non impediva alle lacrime di bagnare copiosamente le sue guance, ormai solcate da alcune rughe.
Con un brusco e repentino crepitio la perla diminuì l'intensità della sua luce, indirizzandone il fascio sulla parete di fronte, su cui fece affiorare un insieme di antiche rune a comporre un arcano messaggio:

Ciò che fu potrà tornare,
tante gocce fanno il mare.
Sette son le chiavi d'oro,
che racchiudono il tesoro.
Se vuoi il tempo riannodare,
il Custode è da cercare.
Bada ben che il tuo viaggio
abbia fine un dì di maggio.
E se la luce vien dal cuore,
tutto vince, anche l'orrore.

Queste parole rimasero impresse a fuoco nella mente di Beatriz e la perla parve accorgersene, perchè la luce scomparve del tutto lasciando la badessa sola, nella stanza buia, con un macigno appeso al cuore ed in pugno una perla nera come una notte intinta nell'inchiostro.

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domenica 17 aprile 2011

Problemi e soluzioni

Un antico detto Zen recita:

Se hai un problema ed hai la soluzione, perchè ti preoccupi?.
Se hai un problema e non hai la soluzione, perchè ti preoccupi?


 Mi sento di aggiungere un semplice corollario:

Perchè, apprezzando la naturale bellezza di un fiore di campo, preoccuparsi per quando sarà avvizzito?
Perchè non godere oggi del suo colore e profumo anzichè preoccuparci di quando sfiorirà domani?

sabato 16 aprile 2011

Telma e Luis - Il Giardinaggio

Era un tranquillo sabato di primavera.
Telma si accingeva alle settimanali pulizie di casa, mentre Luis aveva deciso di andare in un podere per acquistare piantine e sementi per l'orto.
Mentre era intenta a preparare il pranzo, Telma si guardava intorno soddisfatta del buon lavoro svolto.
Tutta la casa era lucida e risplendente, perfettamente in sintonia con la maniacalità di Telma.
Ore 12:30... Luis torna a casa.
Parcheggia la sua station wagon color tabacco (Telma usa una similitudine più "aggressiva", ovvero deiezione di rospo) e con orgoglio latino scarica la merce appena acquistata.
Con un colpo d'anca apre la porta di ingresso e si presenta nell'atrio con la tronfia postura di un "vachero" che è appena entrato in un saloon.
Con una mano regge un vaso con una non identificata pianta, con l'altra sorregge molto mascolinamente una cassetta di germogli di pomidoro.
"Eccomi qua, Telma... si mangia?"
Telma ha già attivato l'equalizzatore cerebrale per filtrare le sue emozioni, poichè subito si è accorta che i primi passi di Luis hanno lordato una ceramica che lei aveva lustrato con fatica.
Mentre Luis attraversa il centro esatto della stanza, ecco che improvvisamente, come se avesse calpestato un pulsante nascosto nella scena di un film di Indiana Jones, la cassetta (di polistirolo!) retta con baldanza con una sola mano, ha un repentino cedimento strutturale, si sfalda in cento pezzi, spargendo ovunque terra, pulviscoli bianchi e piantine innocenti sull'immacolato pavimento.
E, nel tentativo di arginare la caduta, l'improvvido Luis si lascia sfuggire anche la pianta in vaso, con un impatto ancora più devastante.
Telma osserva la scena con effetto slow motion... e muovendo impercettibilmente il capo analizza inerme le traiettorie multiformi di quei corpi estranei ed alieni che stanno per abbattersi nella linda atmosfera del suo mondo perfetto.
Non sa se augurarsi un colpo apoplettico che le eviti la sofferenza del post-distruzione o imprecare per non essere dotata di cannoni fotonici in grado di disintegrare ogni microparticella prima che tocchi il suolo.
Nonostante l'ora, internamente la temperatura è scesa a 0 K ed il silenzio impregna ogni molecola.
Luis guarda Telma sollevando le sopracciglia come dire "Hey baby, son cose che possono succedere... anche a Luis, il macho della sierra...".
Le guance di Telma assumono colori che vanno dal blu cobalto al rosso inferno, la respirazione è ai minimi termini, la salivazione azzerata... la scintilla di istinto che è in lei la porta ad assurgere all'Olimpo, accanto a Zeus, per togliergli bruscamente di mano la folgore e scagliarla verso la terra, con obiettivo un uomo mortale da incenerire.
Tuttavia la razionalità vince ai supplementari, per cui guardando in tralice Luis, con voce graffiante come una sega a nastro si limita a ordinargli "Vai a prendere la scopa...".... anche se in realtà il verbo "andare", coniugato all'imperativo, sarebbe stato volentieri accompagnato da molti altri complementi di moto a luogo... in gran parte figurati...

domenica 3 aprile 2011

Gargoyle

C'era una volta una principessa che viveva in un bellissimo castello ed aveva come amico un rarissimo drago blu.
Il drago volava libero e tornava spesso ad accucciarsi ai suoi piedi, giocava con lei, la proteggeva e la consigliava.
E gli anni trascorsero sereni, finchè la fanciulla divenne donna.
Per ottuse ragioni di casato la principessa fu destinata dal padre al convento della cattedrale di un regno lontano.
Purtroppo le rigide regole di quell'isitituzione le impedirono di vedere il drago.
Ben presto si sentì oppressa tra quelle mura, ma anzichè essere comunque felice per la libertà dell'amico, ella sfruttò la sua mansione di bibliotecaria per accedere ai testi più arcani di magia nera, affinchè anche lui fosse confinato in un angusto simulacro di pietra.
Fu così che invocò sull'amico drago una terribile maledizione che lo mutò in un gargoyle, posto per sempre su un pluviale della cattedrale.
Un cuore nero trasformò l'antica amicizia in pietra.
Dopo tanti anni condannato ad essere solo una tenebrosa decorazione esposta ai capricci delle stagioni, venne un giorno in cui salì verso di lui una risata cristallina così pura da sentirsi come trafitto da mille frecce. Ed un brivido, seppur lieve, si trasmise sotto la coltre bituminosa che lo rivestiva.
Fu così che, con grandissimo stupore, sentì il pietrisco intorno ai suoi occhi sbriciolarsi piano piano.
Ormai lasciava scorrere i suoi giorni aspettando di udire nuovamente quel suono rasserenante e dopo qualche tempo, con gli occhi che potevano nuovamente essere liberi di guardare, riuscì a scorgere laggiù tra la folla un dolcissimo sorriso, la fonte di quell'arpeggio celestiale.
Ogni volta che questo accadeva, percepiva la pietra che lo avvolgeva sgretolarsi lentamente, ma inesorabilmente e, con grande gioia e stupore, venne finalmente il giorno in cui potè nuovamente udire i primi deboli battiti del suo antico cuore di drago.
Inoltre, tutte le notti di luna piena portarono al compimento di un fenomeno strano e miracoloso: mentre i suoi pensieri tornavano a quel sorriso, una furtiva lacrima scendeva dagli occhi del gargoyle sicchè la luna la mutava subitamente in perla, depositandola delicatamente ai suoi piedi.
E più il tempo passava, più la pietra cedeva.
Ogni sorriso, ogni risata soave e pura che saliva a lui sbriciolava come cenere riarsa gli ultimi rimasugli del maleficio e scaldava il cuore come una fornace di vulcano.
Finchè in una notte nera come la pece si compì la mutazione ed il gargoyle tornò nuovamente ad essere drago, che in pochi istanti raccolse le sue preziosissime perle, dispiegò le sue possenti ali, si librò maestoso nel cielo,... e nessuno lo vide mai più...


La forza di un sorriso può sconfiggere la maledizione più perfida, sbriciolare la pietra più dura e far tornare a battere anche un cuore divenuto gelido.

Per cui fanciulla che sorridi, se un giorno ti troverai innanzi un drago blu, non aver paura... è venuto a ringraziarti, portando in dono la sua amicizia ed un diadema di bianchissime perle...

sabato 2 aprile 2011

Giovinezza

Segue un passo tratto da "Marina", di Carlos Ruiz Zafon:

"...La giovinezza è una fidanzata capricciosa. La comprendiamo e la apprezziamo solo quando ci lascia per un altro e non torna più..."

sabato 26 marzo 2011

Il Rito

Un uomo solitario cammina nervoso sull'altopiano brullo.
Il suo sguardo spazia tra cielo e terra come se cercasse qualcosa di preciso.
Il cielo grigio copre il paesaggio come una densa coltre di cenere.
Improvvisamente l'uomo sembra scorgere una sagoma che si confonde in lontananza.
L'uomo tradisce una inquietudine profonda, accelera il passo e si dirige spedito verso di essa.
Ed ecco comparire un promontorio ruperstre sulla cui cima si erge maestoso un'olmo.
I passi diventano più grevi, il battito aumenta, la meta si avvicina sempre più.
L'uomo percorre gli ultimi metri che lo separano dall'agognato albero con crescente smania, consapevole che sta per sgravarsi del peso che palpabilmente lo opprime da tempo.
Il rito, antico di millenni, sta per compiersi.
Si guarda intorno, si accerta di essere solo.
Finalmente può procedere.
Ecco, egli impugna lo scettro che, come per magia, inizia a stillare oro, che si deposita ai piedi del grande tronco.
Quale sarà l'arcano significato di questo rito?
Solo il vento che debole scherza tra i rami solleticando dolcemente le foglie può azzardare una risposta.
L'uomo si volta, il suo viso ora è sereno, disteso, quasi gaudente.
Si ferma un attimo a guardare il brullo paesaggio circostante, ma ode dei rumori provenire dall'altipiano.
Ora è all'erta.
Un leggero scalpiccio sull'acciottolato ed ecco spuntare un bastardo, che sale nervosamente verso di lui.
Il cane lo osserva e l'uomo ricambia lo sguardo.
Si avvicina, fiuta l'aria intorno, annusa il terreno benedetto su cui sorge l'olmo...
poi si avvicina al tronco, proprio dove l'oro è colato...
solleva una zampa... e compie anch'esso il medesimo rito!
Ora cane e padrone, nuovamente liberi, possono proseguire tranquilli nel loro cammino...

sabato 19 marzo 2011

Nucleare... riflettiamoci...

Sull'onda emotiva di quanto sta accadendo in questi giorni in Giappone sarebbe semplicissimo dire "Nucleare, No Grazie".
Tuttavia, proprio per evitare di banalizzare e scegliere una soluzione preconfezionata dagli eventi, ho preferito approfondire l'argomento.
In prima istanza ho cercato di capire quali potessero essere vantaggi e svantaggi evidenti del nucleare, come soluzione energetica e poi ho provato a collocare il tutto nel "sistema Italia".
Partirei dallo slogan che il nucleare è "energia pulita", poichè non produce CO2, causa di inquinamento, surriscaldamento del pianeta, ecc. ecc.
Questo è certamente vero se consideriamo una centrale a regime.
Tuttavia è bene individuare il ciclo di vita di una centrale, che prevede circa 10 anni per la costruzione/attivazione, circa 30/40 di operatività e altri 10/20 per il ciclo di smaltimento delle scorie e dismissione dell'impianto.
Alcuni studi sembrano aver individuato che l'intero ciclo di vita di una centrale (attività di costruzione e gestione) porterebbe comunque alla produzione di circa 1/3 di CO2.
Inoltre, il termine "pulita" va a sbattere contro il muro dei residui di lavorazione, le cosiddette scorie, che sono fortemente nocive, richiedono aree di stoccaggio sicure e un costoso processo di smaltimento.
Un altro aspetto fortemente propagandato mette in evidenza come l'utilizzo di centrali nucleari possa contribuire all'autonomia energetica del paese (indipendenza da approvigionamenti di gas e petrolio) e maggior stabilità economica (sistema non influenzato dalle oscillazioni nel prezzo di gas e petrolio, materie prime che notoriamente sono detenute da paesi con contesti socio-politici instabili), fornendo la possibilità di un costo più basso per l'energia erogata.
Tuttavia occorre riflettere sul fatto che anche le centrali nucleari hanno bisogno di combustibile, che si chiama Uranio ed è anch'esso un elemento presente in natura che avrà tendenza ad esaurirsi nel tempo.
Quindi, per tutti i paesi che non avranno la possibilità di estrarre uranio in autonomia, ci sarà ancora una forte dipendenza dai paesi produttori di tale materia prima e quindi nel medio periodo si potrebbe incorrere nel fenomeno di un aumento dei costi legato all'andamento del mercato dell'uranio.
Inoltre, bisogna prestare attenzione all'ipotesi di costi più bassi per l'energia. Spesso si cita il modello francese, ma non si tiene conto che in esso non sono inizialmente (e volutamente) stati contemplati i costi per lo smaltimento. Quando, a breve, anch'essi entreranno nella bolletta energetica francese, forse la tanto decantata convenienza mostrerà i suoi limiti.
Un altro aspetto critico sono i costi di realizzazione e di manutenzione di una centrale.
Detto sopra del suo lungo ciclo di vita, è difficile preventivare un costo iniziale e poi rispettarlo. Ci sono tanti esempi di centrali attive i cui costi di realizzazione sono cresciuti nettamente via via che le opere progredivano.
Ora, se io fossi un investitore, volendo comunque realizzare un guadagno dal mio investimento, cosa farei?
Per contrastare i costi iniziali più alti potrei risparmiare in seguito su spese di gestione (es: sicurezza, stoccaggio, smaltimento,...) e/o tenere più alti i prezzi dell'energia venduta.
Una centrale si colloca necessariamente su un territorio. Quali popolazioni risulterebbero "felici" di vivere accanto ad una centrale nucleare? Non è assolutamente vero che una centrale nucleare ha un impatto ambientale minimo, perchè stravolgerebbe necessariamente l'area intorno a cui si troverebbe, sia dal punto di vista ambientale che da quello sociale.
Immaginate di abitare in un paese dove le autorità hanno deciso di impiantare una centrale a pochi chilometri da voi. Penso che la prima cosa che vi passi per la testa sia di vendere casa e traferirvi altrove. Ma chi ve la comprerebbe? E a quale valore? E non potendo fuggire, quale impatto psicologico avrebbe su di voi questo evento?
Per cui, nel momento in cui qualcuno avrà deliberato che sorgerà una centrale nucleare in un territorio, quel territorio ed i suoi abitanti sono comunque marchiati negativamente.
Detto questo, perchè tanta enfasi sul nucleare e non sulle energie rinnovabili (solare, eolico,...)?
Ormai l'evoluzione tecnologica ha dato un impulso decisivo a queste nuove fonti di energia, tanto che il costo per Kv del fotovoltaico sembra ormai essere inferiore a quello del nucleare.
Perchè allora non spingere sulle energie rinnovabili e sostenibili?
Proviamo ad immaginare questo scenario: ogni abitazione è dotata di pannelli solari altamente efficienti che le garantiscono piena autonomia energetica (senza prendere in considerazione la possibilità di rivendere poi energia in eccesso...).
Significherebbe che non avremmo più bisogno di allacciare contratti con le società monopolistiche dell'energia.
E secondo voi, queste società investirebbero e spingerebbero su tecnologie che potrebbero privarle poi di sostanziosi ritorni economici?
Il sole e il vento sono a disposizione di tutti... nessuno potrebbe alzare il prezzo di un tale sistema di approvigionamento energetico palesando sfuggenti ragioni di natura socio-politico-economica.
Viceversa una centrale nucleare ed il suo carburante possono essere monopolio dei grandi gruppi industriali che poi possono giocare su una varietà infinita di fattori per aumentare le tariffe a loro beneficio.
Pensiamo al mercato complessivo in gioco intorno ad una centrale.
Un immenso cantiere decennale (o più) su cui si possono buttare centinaia di aziende, ognuna con i propri obiettivi ed i propri margini. Certo, da un punto di vista occupazionale può sembrare anche positivo, ma pensiamo a come sono sempre state gestite queste opere faraoniche nel "sistema Italia". Quali aziende parteciperebbero? Non mi stupirei se buona parte fossero proprio quelle legate alle cosche istituzionali (Mafia, Ndrangheta e Camorra) che ormai sono parte del tessuto socio-economico italiano e che operano a stretto contatto con politica ed economia. E per aziende di questo tipo la sicurezza di cose e persone e l'efficienza starebbero ai primi posti? Non è forse un bel banchetto a cui partecipare e mangiare lautamente, magari con zero spese?
Per quanto visto negli ultimi 40 anni, non avrei alcuna fiducia nel sistema Italia e sarei terrorizzato di sapere che una centrale nucleare potrebbe essere costruita con materiali di scarto, tecnologie di serie B o con tanti piccoli "sconti". Accorgersene quando è troppo tardi e dibattere demagocicamente risulterebbe devastante e assolutamente inutile.
Di fatto, mi sembra che il piano di rilancio del nucleare sia una pura scelta di business.
Non per nulla c'è già un accordo tra Enel e la francese EDF per la costruzione di 4 centrali congiunte, e la visione di questi grossi gruppi è quella di far fruttare gli investimenti andando poi a vendere tecnologia nucleare nei paesi economicamante deboli (sud est asiatico, africa,...), con tutto quello che questo comporta dal punto di vista della sicurezza mondiale.
Di fatto, a nessuno di coloro che possono decidere le sorti dei comuni mortali importa realmente nulla di ambiente ed energia. Ciò che veramente conta è il business. Individuato un filone potenzialmente redditizio ci si infila a scapito di qualsiasi altra considerazione.
Per chiudere, vorrei dire che questa disamina nasce come frutto di attenta lettura di fonti di diversa connotazione, svolte a titolo personale e tante riflessioni e metabolizzazioni individuali, che ovviamente mi portano a pensare come la scelta del nucleare non sia in realtà così vincente come si vuole sostenere.

martedì 15 marzo 2011

Telma e Luìs - I Ravioli

Quella sera Telma era in ritardo.
Parcheggiò la sua Duna grigio ratto in un battibaleno, con una sola manovra, frenata, retro e zac... fermi tutti.
Chiuse il bolide a doppia mandata e mise sulla sua fiancata il solito cartello "Se la sfiori, Telma vede... e provvede".
Poi aprì il cancello di casa.
Luis era ai fornelli.
L'arrivo con frenata non prometteva nulla di buono... ma lui era calmo, perchè immaginava di aver preparato una cenetta deliziosa... e sapeva che Telma si quietava sempre di fronte ai suoi manicaretti (forse se fosse stato in grado di leggere nei pensieri di Telma avrebbe avuto un'altra opinione dei suoi manicaretti...).
Ma quel giorno i notiziari trasmettevano le tragiche notizie di una centrale nucleare in avaria e probabilmente Luis si è un pò troppo immedesimato nel suo idolo, Homer Simpson.
Quando si accorse di aver esagerato col sale, pensò subito "...la fusione del nocciolo... oh mio dio!"
Quindi con una manovra ardita e con spirito intrepido prese una brocca d'acqua per salvare brodo e ravioli.
Telma spalancò la porta di casa ed il suo sguardo da wonder woman spaziò a 360 gradi sulla cucina.
La sua supervista le fece immediatamente notare il colorito malaticcio di ciò che bolliva in pentola.
Tempestivamente chiese informazioni sulla manovra disperata di Luis per salvare il reattore N.1, ma subito si rassegnò al triste destino.
Nel momento in cui i ravioli furono versati nei piatti, Telma ebbe la certezza che quei poveri esserini che la guardavano mezzi annegati non potevano che essere il risultato di una mutazione genetica dovuta ad un eccesso di radiazioni, che il buon Luis/Homer non era riuscito ad evitare.
Più che ravioli sembravano delle meduse imbottite, con problemi alla vescica.
Lo spirito materno di Telma prevalse e non riuscì ad ingurgitare che pochi corpicini sfatti.
Luis, con l'orgoglio tipico del macho della Sierra, finse di gustarseli amabilmente, ma quando nella brodaglia primordiale navigavano ancora alcune masse aliene, un groppo in gola ed un principio di conato lo indussero a smettere.
Fu così che ancora una volta la povera Telma, invece di coricarsi satolla e di sognare torme di maschi che ronzavano sbavanti dinanzi alle sue forme, fu costretta a rappresentare oniricamente dozzine di flaconi con la scritta "veleno" e Luis davanti ad essi, indeciso su quale scegliere come colluttorio...

lunedì 14 marzo 2011

Toglietemi tutto ma non il pici...


Noo... padre.... non puoi farlooo!!!!
Non ci vengo in vacanza a Canosa!!!!
La zia Concetta mi strafoga di orecchiette cime di repa.... che mi viene l'indiggestione...
Non c'ha manco la uairless...
E come faccio con iutubb, feisbuc, guglle???
E poi sto completando il daunlodd degli emmeppittre di Mario Merolaaa.....
Guarda che ti sputtanno su uichilic...

domenica 13 marzo 2011

Storie di un vecchio molo

Mi chiamo Pier e sono un antico molo, un promontorio artificiale che l'uomo ha edificato per unire due elementi così dissimili come terra e mare.
Quante persone si sono accalcate su di me, quante sensazioni e sentimenti multiformi ho sentito scorrermi addosso.
Ho visto famiglie, costrette a lasciare la propria terra per cercare fortuna altrove, guardare la nave che li attendeva come un condannato aspetta la morte sul patibolo.
Sono stato attraversato da ragazzi in divisa armati di entusiasmo e propaganda, che nascondevano le proprie intime paure dietro a sorrisi forzati, regalati a persone care che non li avrebbero più rivisti.
Ho osservato facce stranite sbarcate in un luogo alieno, guardarsi intorno come esploratori approdati in un continente vergine e incontaminato.
Ho udito il triste lamento di bambini per un nonno che salpava per tornare a casa, consapevoli forse che non avrebbero più ascoltato i suoi splendidi racconti.
Le mie tavole di legno hanno contato milioni di passi, pesanti per il bagaglio ed un peso al cuore, gioiosi e leggeri per un viaggio romantico o semplicemente anonimi e impalpabili come quelli di spettatori indifferenti.
Fra tutte le migliaia di storie quotidiane che avrei da narrare ce n'è una in particolare che mi è rimasta impressa.
Ricordo una fredda mattina di dicembre.
Ero completamente deserto, avvolto come un sudario da una nebbia che celava completamente il mondo circostante.
Solo alcuni striduli lamenti di gabbiani laceravano il silenzio quasi religioso di un alba prossima a sorgere, ma riottosa a mostrarsi a sguardi indiscreti.
D'un tratto odo rumori soffusi provenire dalla terraferma ed un incedere di passi eleganti, sicuramente di donna.
Avvolta in un nero e caldo cappotto, perfettamente adatto alla sua figura, avanzava decisa verso il punto di approdo.
Il suo viso, incorniciato da lunghi capelli biondi, trasmetteva impazienza, accentuata da due splendidi occhi verdi che scrutavano ansiosi al di là della nebbia, verso il mare.
Mentre un lucore tanto tenue quanto quello di una lucciola in una brumosa sera d'estate si avvicinava dal mare, dalla parte opposta alcuni passi decisi si posavano sull'assito.
Nonostante la giubba pesante, si intuiva il fisico esile di un un uomo minuto, che avanzava con circospezione verso la sagoma bionda che fissava il muro di nebbia in trepida attesa.
Ed è stato allora che ho sentito.
Ho udito lo strazio in fondo all'anima di quell'uomo, echeggiare come un boato in una valle solitaria.
Ho sentito vibrare ogni singola tavola, percorsa da una struggente malinconia.
Non ero più legno e corda e chiodi, ma un fascio vivo di terminazioni nervose che acuivano la propria sensibilità via via che le due figure si avvicinavano.
Ed ecco il momento.
Furtiva come una faina, l'imbarcazione accosta bruscamente, trasmettendomi dolore per l'impatto.
Si intravvede un uomo alto, deciso, sicuro, che invita la donna a salire.
L'uomo minuto è ormai giunto a pochi metri da lei e la chiama con una dolcezza ed una tristezza che si annidano ancora in me e che il tempo non ha più rimosso.
Lei si volta, sbigottita, non aspettandosi questo fuori programma.
Per un attimo, ma non saprei dire quanto lungo, il tempo si è fermato.
Anche i gabbiani sono silenti, come se telepaticamente si fossero accordati sul rispetto dovuto al momento in atto.
I loro occhi si fissano intensamente e la loro vita sembra magicamente fluire dai loro corpi e proiettarsi sul telo di nebbia, come un cinematografo improvvisato, sicchè io ho potuto essere l'unico inanimato spettatore di quella drammatica rappresentazione.
Non so come (sono un molo... rammentate?), ma ho pianto.
E come dimenticare il finale...
Lui dichiara molto candidamente di amarla, con una sincerità così cristallina da annichilire la nebbia circostante, e lei, abbassando mestamente uno sguardo raggelante, si congeda con un semplice "mi dispiace", afferrando la mano dell'uomo a bordo e varcando così il limite del non ritorno.
In pochi attimi la sagoma della barca scompare alla vista lasciando l'uomo minuto solo col suo dolore.
Tutto è fermo, immobile, come in devota preghiera, in attesa che le lacrime possano fluire copiose e cadere con la forza d'urto di meteoriti scagliati dal cosmo più profondo.
Quando alcune di esse si sono schiantate sul pontile rompendo un silenzio innaturale, hanno portato con se il fragore del mare che si infrange sugli scogli nelle giornate di tempesta, il salmastro sapore dell'amore tradito, la potenza del tuono che diffonde lo strazio e la rabbia del lampo che squarcia la notte come un nero drappo troppo teso.
In ogni mio anfratto, attraverso i nervi scoperti, come olio bollente ho sentito scorrere l'amore, grande, unico, irripetibile e l'immensa sofferenza per la sua perdita.
Non so esattamente cosa sia, ma so con assoluta certezza che in quel momento ho provato pietà.
E a pietà si sono mosse anche forze che non saprei mai descrivere o rappresentare, ma che, statene certi, è meglio avere a favore che contro.
In un clima divenuto irreale, la nebbia si è infittita a tal punto da farmi perdere la consapevolezza di esistere, stringendo tutto in una plumbea morsa d'acciaio e proiettandomi in dimensioni del tempo e dello spazio che sfuggono ad ogni pensiero razionale.
Improvvisamente, come risvegliatomi da un lunghissimo sonno, non ho più sentito la presenza dell'uomo, ma ho percepito un flebile e serico fruscio d'ali materializzarsi sopra di me e volare verso il mare, rischiarato dal bagliore ambrato delle lanterne, schierate come un picchetto d'onore e accompagnato dal coro garrulo dei gabbiani, un melanconico ultimo requiem per un amore senza confini.

sabato 12 marzo 2011

Destino2 - Predestinazione e Libero Arbitrio

Visti i quasi 2 anni di assenza dal blog, ho avuto tempo per riflettere...

Ricollegandomi al post precedente ("Destino") ho elaborato un modello che potrebbe unire i concetti di predestinazione e libero arbitrio, di per sè antitetici.
Supponiamo che siano predeterminate sia la nostra data di nascita che quella di morte e immaginiamo che esse siano 2 punti A e B in uno spazio.
In pratica, immagino la nascita come lo sviluppo di un cunicolo stretto che via via si allarga ad imbuto e tale imbuto, passata la metà dell'esistenza, si restringe convergendo verso il punto B.
La nostra esistenza è dunque descritta da un doppio imbuto, la cui ampiezza è maggiore quanto più lunga sarà la nostra vita. Ma nello spazio all'interno dell'imbuto siamo liberi (libero arbitrio) di scegliere tutte le posizioni spazio-temporali consentite.
Più ampio è lo spazio, più grande sarà la libertà di scelta.
Di fatto, nel cammino spazio-temporale di una vita siamo noi stessi gli artefici delle scelte che ci posizioneranno via via in punti differenti. L'unico vincolo sono le pareti dell'imbuto.
Naturalmente questa libertà si affievolisce in prossimità degli estremi temporali, poichè lo spazio-tempo divergente/convergente in un punto garantisce minimi gradi di libertà.
Ad ognuno di noi vengono forniti 2 punti in uno spazio-tempo e li si colloca la nostra vita. In prossimità della nascita e della morte la nostra libertà di scelta è più limitata e cresce/decresce col passare del tempo.
Una persona con una vita medio-lungo avrà la possibilità di esercitare arbitrariamente le scelte che ne condizioneranno l'andamento, fino all'approssimarsi del punto di morte, dove necessariamente le scelte saranno ristrette per la convergenza dell'imbuto.
Pensiamo ad un bimbo che muore dopo pochi giorni... il doppio imbuto sarà così ridotto da non consentire gradi di libertà.

In parole povere, esiste quello che chiamiamo Destino in quanto esso determina il nostro inizio e la nostra fine. Ma tutto il resto è completamente a nostra disposizione... siamo noi che scegliamo come vivere...
In pratica, potremmo dire che il libero arbitrio che permea la nostra vita collassa nella predestinazione in prossimità della nostra nascita e della nostra morte.